Un illustre pratese, Curzio Malaparte, ha ben sintetizzato l’enorme importanza del commerciante degli stracci per il mondo della moda e la città di Prato quando scriveva in Maledetti Toscani: “A Prato dove tutto va a finire: la gloria, l’onore, la pietà, la superbia, la vanità del mondo.” L’acquisto degli stracci a prezzi bassissimo, l’estrazione della lana dal materiale attraverso lavorazioni particolari ne permettevano il riuso come materia prima nel processo di lavorazione dei tessuti: le cosiddette ‘lane rigenerate” che anche nel nome trasmettevano il senso di profondo rinnovamento. Il mestiere del cenciaiolo mal si racconta, è frutto di una esperienza tattile importante, che sappia ben individuare solo al contatto con le dita la composizione dell’abito usato.
Come un artista con il colore, il cenciaiolo prende l’indumento, lo divide per pesantezza, composizione e colore e a fine giornata si trova circondato di abiti suddivisi in un cromatismo degno dei più grandi pittori del nostro secolo.
Un mestiere difficile ma entusiasmante, narrato dagli anziani con l’entusiasmo di chi ha vissuto una vita avventurosa: gli abiti trasmettevano le storie di chi li aveva indossati, spesso celavano belle sorprese come ricordi, monetine, oggetti, a volte veri e propri tesori cuciti nella parte interna delle fodere. Il mestiere del cenciaiolo ha origini storiche molto lontane ma assunse un ruolo rilevante soprattutto nel dopoguerra, quando le materie prime scarseggiavano.
Il cenciaiolo rappresenta moltissimo per la storia pratese, un’arte di cui andare fieri perché preludio alla rinascita economica del sistema economico locale. Fare il cenciaiolo però non è mai stato facile: un lavoro faticoso stando seduti tutto il giorno in posizioni scomode (si diceva “mettersi a guanciale”) che ancora oggi, per i pochi rimasti, è in grado tuttavia di conferire grandi ricompense e soddisfazioni.