La straordinaria storia della Cintola, la preziosa reliquia della Madonna, conservata nella Cattedrale di Prato, è un affascinante intreccio di verità e credenze popolari.
Secondo la tradizione fu consegnata dalla Madonna, al momento dell’Assunzione in cielo, a San Tommaso, che a sua volta la dette a un sacerdote. I discendenti del sacerdote se la tramandarono fino a che il mercante pratese Michele, in pellegrinaggio a Gerusalemme, innamoratosi di Maria, discendente del sacerdote, la ebbe come dono di nozze.
Tornato in patria intorno al 1141, Michele la custodì gelosamente e la donò in punto di morte al proposto della pieve di Santo Stefano (1171).
La fama dei miracoli della cintura non tardò ad arrivare e ciò dette adito a storie leggendarie di furti in cui si incontrano realtà e fantasia. Giovanni di ser Laudetto, più conosciuto come Musciattino nel 1312 trafugò la reliquia.
Quando però uscì da Prato, si perse nella nebbia che avvolgeva la campagna circostante e, senza rendersene conto, tornò al punto di partenza. Credendo di essere giunto a Pistoia, gridò alle porte della città: "Aprite, aprite Pistoiesi: ho la Cintola de' Pratesi!". Il trafugatore venne catturato e condannato al taglio della mano destra, e dopo essere stato legato alla coda di un asino e condotto sul greto del fiume Bisenzio, venne arso vivo e gettato nel fiume.
Secondo la tradizione popolare, si narra che, dopo che gli fu mozzata la mano, la folla inferocita abbia scagliato l'arto tagliato verso la chiesa e che esso abbia lasciato su una pietra del Duomo, una macchia di sangue a forma di mano. Tale segno è visibile ancora oggi, sulla pietra di marmo dell'angolo in alto a sinistra dello stipite della porta presente sul fianco destro del Duomo.